29 gennaio 2014

Dell'invenzione


Gilles Clément definisce il Paesaggio come “ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di guardare;ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di esercitare i nostri sensi all’interno di uno spazio investito dal corpo”.
(G. Clément, Giardini,Paesaggio e genio naturale, Ed. Quidlibet, 2013)


Sottolineandone l’aspetto percettivo, si suggerisce come il Paesaggio attraversi necessariamente un percorso soggettivo, e tramite questo venga elaborato. Il nostro sentire, la nostra esperienza personale, le sovrastrutture culturali del contesto in cui siamo nati e cresciuti ne costituiscono la lente emozionale e percettiva attraverso la quale vedere e sentire il Paesaggio. Percezione intesa in senso etimologico, perceptio: il raccogliere gli stimoli sensoriali ed emozionali; accoglierli in sé.


In questo senso, Paesaggio è qualcosa di sostanzialmente diverso dall’Ambiente, che implica una lettura oggettiva, misurabile, quantitativamente comparabile e condivisibile tra tutti.


Il Paesaggio è percezione, ma anche invenzione,
e sulla scorta delle considerazioni a cui abbiamo accennato, non potrebbe essere altrimenti. Invenzione come facoltà inventiva, capacità di reperimento; desiderio di scoprire e rintracciare nel Paesaggio che si osserva un punto di contatto con il nostro vissuto e la nostra esperienza – culturale, sensoriale, emozionale. Desideriamo ritrovare nel Paesaggio quello che ci appaga, che ci dà senso di benessere, che soddisfa il nostro di appartenenza, la convinzione della sua comprensione (o l’illusione di essa).

Proprio questo è il lato nascosto, sconosciuto e inconoscibile del Paesaggio. Nessuno sarà mai in grado di indovinare quale emozione, quale sensazione, quale percezione ha del Paesaggio ogni individuo, ogni gruppo, ogni popolo.
Recando in sé una dimensione intrinsecamente soggettiva, anche un tentativo di definizione di un paesaggio può risultare una contraddizione in termini: crogiolo di esperienze e di invenzioni singole, recipiente (anche stavolta con un occhio all’etimologia latina), dove si proiettano, si catalizzano e si irradiano in maniere corale ricordi, ferite, gioie di una comunità.
Un serbatoio a cui attingere il nostro senso di appartenenza a in territorio, il nostro senso di identità.

Dove, in ultima analisi, inventare, latinamente, noi stessi.



22 gennaio 2014

Spaziare



Quali sono i linguaggi del Paesaggio?
Quali sono i linguaggi con i quali il Paesaggio comunica con noi?


E’ il linguaggio del Mito? Quello della ragione? E’ il linguaggio della nostalgia e della memoria?
E’ il linguaggio del teatro?
Qual è il lessico con il quale ci vengono comunicate le emozioni?
Quale è la semiotica del Paesaggio?

I luoghi ed i paesaggi parlano attraverso quanto hanno incessantemente registrato, conosciuto e stratificato. Parlano attraverso la condivisione di identità o il riconoscimento e l’interazione con di identità altre.
La comunicazione avviene attraverso la percezione delle relazioni fra i vari segni riconoscibili nella scena visiva del paesaggio.

Ma come cambia la percezione di un luogo o di un Paesaggio se in esso scorgiamo un artefatto, un segno contemporaneo opera di un artista, oppure se mentre osserviamo ci è dato di ascoltare Bach o Wagner?

Durante una intervista Josif Brodskij così parla dell’Italia e del Paesaggio:
Nel passato, nella storia, nella cultura, insomma: nelle profondità del tempo, esiste una specie di macchina filatrice, che imbastisce segni e solchi. A volte si tratta di versi di poesia, di letteratura o magari della facciata di un palazzo, altre volte semplicemente di rughe. L'Italia per me è questo: il luogo che custodisce quella filatrice.
In Italia mi sembra di essere più vicino a quel
telaio
".

(J. Brodskij, Intervista a Gabriella Caramore, 3° programma radio, Roma 17.1.1993, pubblicato con il titolo La mia vita è un'astronave, "Micromega" 1996, n. 3, p.160)


Seguendo il filo conduttore di questi pensieri, abbiamo ideato
Spaziare.

La mission del progetto è quella di esplorare, approfondire, interrogarsi intorno alle tematiche che coinvolgono o potrebbero coinvolgere il Paesaggio.
Indagandone il lessico, l'origine delle emozioni che esso suscita, la percezione che si ha di esso.
Spaziare vuole, attraverso eventi ed incontri ripetuti nel tempo e nello spazio, approfondire i temi della percezione e del senso dei luoghi, del senso delle immagini che il Paesaggio ci offre, del senso delle emozioni che nascono di fronte alla immagine scenica del Paesaggio.

E intende farlo attraverso il contributo di varie discipline, facendole interagire fra di loro in uno stesso luogo, intorno ad uno stesso tavolo e attraverso lo stesso microfono. Come è nello spirito e nella mission della nostra associazione culturale, MultiKulti.
Spaziare intende recuperare la pratica dello stare in un paesaggio e in un territorio. Stare per percepire il rumore dell’incessante lavoro del telaio di Brodskij.

Perché occuparsi di Paesaggio vuol dire occuparsi anche di noi stessi e lo stare ad ascoltare i suoi echi ci aiuta ad invertire la mutazione antropologica che ci ha disabituato allo Stare.





19 gennaio 2014

Per iniziare...parliamo di Paesaggio


...che questa terra, tutta fatta dall'uomo, dai suoi sudori, dalle sue fatiche, per secoli e secoli, per generazioni umili e tenaci, splendida perché sempre sottovoce e mai a gola spiegata, con un'aria che l'avvolge come se fosse una sua atmosfera privata e non quella di tutti ...

Io la guardo (...) e mi dico, ma è proprio vero che queste cose non debbano dir niente più a nessuno, che non ci sia tempo per fermarsi a guardare? Fermarsi a guardare delle cose che non cercano di farsi guardare, e non sembra neppure che siano fatte per essere guardate: sono filari, sono cipressi, sono prati, sono campi lavorati. C'è una ragione in tutto questo, uno scopo, un utile. E tu invece li guardi, ti fermi lì, e quasi a bocca aperta, come fosse uno spettacolo meraviglioso. Ed è uno spettacolo meraviglioso: un attimo di sospensione, uno jato felice fra ieri e domani, in cui ad un tratto l'oggi t'attraversa e si ferma: qualcosa che merita di essere vissuto.

Né si consuma.

Cesare Brandi, da "Addio Toscana" in "Aria di Siena"




C’è un filo rosso che lega, a nostro avviso, l’arte contemporanea inserita nel paesaggio ad una strada bianca. Ed a molte altre cose ancora. E’ la percezione del Paesaggio, o meglio la sua percezione consapevole. Chiunque sia nato in Toscana ha il Paesaggio impresso nel DNA, lo assorbe attraverso gli occhi, lo mangia, lo beve. Lo sente nell’aria, lo respira. E sente il peso della sua assenza quando ne è lontano.

Ma quanto di tutto questo avviene in maniera consapevole? Quanto il Paesaggio è amalgamato con le nostre vite a tal punto che quasi non lo vediamo più?

Di Paesaggio si parla tanto, soprattutto negli ultimi venti anni, ponendo l’accento sulla componente ambientale, ecologista/ecologica, di tutela e salvaguardia. Iniziative importanti, che denotano sensibilità e attenzione, da parte di tutti, nei confronti di uno degli elementi fondamentali del nostro il nostro essere italiani e toscani.




Ci domandiamo se sia possibile non tanto fare di più, ma farlo in modo diverso
Ci piacerebbe porre l’accento sulla complessità del Paesaggio, sul suo essere ovunque, sul suo permeare di sé stesso le nostre vite, i nostri ricordi, le nostre aspettative. Ci piacerebbe che questa complessità venisse affrontata con il contributo di discipline che non sempre sono legate immediatamente al Paesaggio.
Ci piacerebbe arrivare alla conclusione, condivisa, che il Paesaggio permea tutta la nostra esistenza a 360gradi, che il Paesaggio siamo noi, perché lo viviamo e lo abbiamo ereditato; perché lo elaboriamo ed attualizziamo ogni giorno, e per farlo dobbiamo impiegare un lessico, una sintassi precisi, condivisi, non sempre in modo consapevole.




E’ questo, forse, quello che Brandi chiama atmosfera privata: perché quel linguaggio lo parliamo e lo capiamo tutti ma non ci siamo quasi mai soffermati a rifletterci, se non gli “addetti ai lavori”. Lo sentiamo nostro, ciascuno declinandolo sulle proprie corde ed il proprio sentire, gli apparteniamo e ci appartiene.

Si fa paesaggio quando si interpreta un territorio, se ne individuano le regole che lo hanno creato e costruito, e lo si modifica nel rispetto di quelle regole che di fatto sono divenute ad esso intrinseche, rielaborandole più o meno consapevolmente.
Così comune e condiviso, così familiare che il privato ed il pubblico quasi tendono a sovrapporsi. Familiare come l’arrivo dell’autunno sulle foglie delle viti che virano al rosso, come il profumo dell’olio novo, come il fumo che sale da un camino di una colonica in vetta a un poggio. 



E’ possibile trasmettere tutto questo a chi del Paesaggio è protagonista e fruitore al tempo stesso? E’ possibile rendere più coscienti i protagonisti del Paesaggio, coloro che lo elaborano, lo vivono? 
Si possono innescare dei processi che portino ad una maggiore consapevolezza e partecipazione, tali da comprendere che abbiamo non solo dei diritti nei suo confronti, ma anche dei doveri, una sorta di debito di riconoscenza nei confronti di questo territorio che ci ha resi quello che siamo?

Per vedere consapevolmente qualcosa a cui siamo abituati, per renderci conto che stiamo vedendo, può provare ad adottare punti di vista differenti. Possiamo fornire prospettive diverse, meno consuete, che stimolino la riflessione e la presa di coscienza che stiamo vedendo – e di ciò che stiamo vedendo.

Una strada bianca, che “obbliga” ad un passo meno spedito, quasi a “misura d’uomo”, permette di rallentare e vedere. Una percezione più lenta e riflessiva, che consente di cogliere elementi singoli, dettagli, sfumature del Paesaggio, che la nostra mente e la nostra memoria elaborano e ricompongono in un quadro unitario ma che si percepisce complesso e ricco di sfaccettature. E sono proprio le “sfaccettature” che stimolano pensieri, riflessioni, osservazioni più approfondite e consapevoli.

Una fotografia o un quadro propongono interpretazioni, percezioni più intime e personali del Paesaggio, consentendo di partecipare a ciò che si osserva, di entrare in contatto in modo più consapevole con il tema ritratto. Prendendo l’osservatore per mano e sussurrando “io lo vedo così. E tu, come lo vedi?”.

L’arte contemporanea non urlata, non ostentata ma inserita nel Paesaggio in modo misurato ed armonioso dovrebbe avere, ed in molti casi ha, un effetto analogo. La presenza dell’ elemento di contrasto, con la sua diversità pone degli domande ed esige delle risposte, richiedendo pertanto un partecipazione attiva e cosciente dello spettatore. Per contrasto, osservando l’opera d’arte, ci si accorge di dettagli, sfumature del contesto nella quale è inserita – acuendo il senso dell’osservazione, la riflessione, la rielaborazione. Passando dal particolare all’universale, si guarda con rinnovato / ritrovato interesse al Paesaggio.



Questo è il filo rosso cui si accennava nella premessa. Un modo meno consueto di osservare, una sorta di filtro, di lente che consenta di guardare in modo diverso ciò a cui siamo assuefatti, mostrandolo in modo inconsueto per consentirci di ri-conoscerlo, di vederlo consapevolmente, di nuovo. Per permetterci di capire quanto esso sia parte di noi, quanto di noi ci sia in esso.
E, come Brandi nel brano riportato in premessa, emozionarci ancora, capirne di nuovo l’importanza e il compito fondamentale che abbiamo noi, oggi, di comprenderlo e di trasmetterlo, assieme a tutti i valori che lo compongono e che ci hanno reso ciò che siamo – Toscani e di fieri di esserlo.