In una lezione del 1913 Ludwig Wittgenstein espone il
proprio metodo, paragonando, nell’ambito delle speculazioni filosofiche, il
linguaggio al territorio e grammatica alla geografia. “Una difficoltà della filosofia è che manchiamo
di una visione d’insieme. Ci imbattiamo nelle stesse difficoltà che avremmo con
la geografia di un territorio del quale non possediamo mappe, o solo la mappa
dei singoli posti. Il territorio del quale stiamo parlando è il linguaggio, e
la geografia è la grammatica. Possiamo percorrere il territorio senza grosse
difficoltà, ma quando ne dobbiamo fare una mappa, ci sbagliamo (…) In filosofia
le questioni non sono abbastanza semplici da poter dire “ne abbiamo un’idea
sommaria”, perché non conosciamo il territorio se non attraverso la conoscenza
delle connessioni fra i percorsi”.
Ciò che conta, nel
suo metodo, non è la destinazione, ma le strade percorse per arrivarci, la
molteplicità delle connessioni per cui, pur percorrendo strade diverse, si
arriva allo stesso luogo. Ma vedendoli sotto una luce nuova, perché nuovo è il
percorso che si è fatto, nuove le connessioni che si sono esplorate tra un
luogo ed un altro.
Questo è il senso di Spaziare. Esplorare i percorsi, i
reticoli che conducono da un concetto all’altro, da una disciplina all’altra –
e le loro connessioni e relazioni. Di una geografia infinita e mutevole che ha
come al centro il Paesaggio, in cui cambiano incessamenemente paradigmi, punti di riferimento prospettive. In cui gli strumenti
di indagine scientifica mutano ed evolvono su base quasi quotidiana; in cui
l’oggetto stesso dell’indagine muta a seconda dell’attribuzione del significato
che gli viene conferito dall’osservatore.
Paesaggio non significa solo percezione; o almeno non
possiamo restringere il campo alla percezione intesa come risposta agli stimoli
sensoriali che il Paesaggio ci provoca.
Parlare di Paesaggio implica anche applicare alla percezione il filtro della semiotica, ovvero del complesso dei significati che attribuiamo a ciò che stiamo osservando; implica che attraverso quel filtro passino solo quelle informazioni che per l’osservatore hanno un senso, un significato. Domande in attesa di risposta, desiderio di trovare o ritrovare parte del proprio passato, anelli mancanti del proprio presente. Paesaggio come invenzione, di cui abbiamo parlato al post precedente.
Ma il Paesaggio può e deve porre anche delle domande? Ecco allora che il dialogo tra l’osservatore ed il Paesaggio si fa serrato, e nuove connessioni e relazioni si creano per arrivare, con percorsi sempre diversi, allo stesso luogo.
Parlare di Paesaggio implica anche applicare alla percezione il filtro della semiotica, ovvero del complesso dei significati che attribuiamo a ciò che stiamo osservando; implica che attraverso quel filtro passino solo quelle informazioni che per l’osservatore hanno un senso, un significato. Domande in attesa di risposta, desiderio di trovare o ritrovare parte del proprio passato, anelli mancanti del proprio presente. Paesaggio come invenzione, di cui abbiamo parlato al post precedente.
Ma il Paesaggio può e deve porre anche delle domande? Ecco allora che il dialogo tra l’osservatore ed il Paesaggio si fa serrato, e nuove connessioni e relazioni si creano per arrivare, con percorsi sempre diversi, allo stesso luogo.
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